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Cuore vichingo: capitolo 12

Quando i due giunsero all’esterno della dimora, una lieve brezza li travolse facendo vacillare la giovane dall’equilibrio instabile.

“Dovresti stare attenta!” la informò Erik sostenendola per la vita, soffiandole alla base del collo quelle poche parole e incendiando all’istante i di lei sensi.

“So stare in piedi da sola!” ruggì, scivolando con fatica da quella presa. “Non ho bisogno del tuo aiuto” soffiò i capelli finiti sul volto prima di fissarlo torva.

Era arrabbiata con se stessa e con le irragionevoli reazioni del proprio corpo, ciò nonostante, era irritata anche con la sua spavalda sicurezza.

“Si può sapere perché mi eviti?” le domandò diretto, incapace di sostenere quel comportamento senza mostrarsi pazzo.

“Si può sapere perché mi cerchi?” replicò con una domanda, modellando il viso con un ghigno furbo.

Erik la fissò per un lungo momento mentre cercava una risposta plausibile al proprio assurdo bisogno ma, non trovandone una neutra da darle, attese un po’ più del consueto e lei ne approfittò per gongolare di vittoria.

“Bene”, rise trionfante, “visto che non hai niente da dirmi, rientro.”

“Non ti muovere” le intimò afferrandola nuovamente per il polso.

“Cosa vuoi, Erik?” domandò stremata, nella speranza che quel tono risultasse più infastidito che stuzzicato.

“Te”, ammise sincero, facendo scivolare la mano dal polso a quella di lei, “voglio te.”

Al suono di quelle parole ella scoppiò in una sgraziata risata.

“Lo trovi divertente?”domandò offeso e confuso allo stesso tempo.

“Un po’”, ammise asciugando una lacrima sfuggita agli occhi, mentre singhiozzava dal ridere, “un po’.”

“Posso saperne la ragione?”

“Ridicolo…” soffiò quell’unica parola incapace di spiegarsi meglio.

“Credo tu mi stia offendendo, Maya. Posso accettare un tuo disinteresse, ma non tollero un tale affronto alla mia persona.”

Il tono di Erik suonò talmente profondo da riuscire a scalfire l’ilarità ebbra della ragazza, che all’istante divenne seria.

“Non ti sto offendendo”, mormorò con lieve imbarazzo, maledicendosi per aver bevuto così tanto, proprio il giorno in cui lui si era deciso ad affrontare un tale argomento. “Non lo farei mai.”

“Sembrava il contrario.”

“Ho bevuto troppo” si mortificò abbassando lo sguardo. Con un movimento goffo fissò una ciocca di capelli dietro l’orecchio prima di aggiungere, “Sono confusa. Perdonami. Non sono in grado di…”

“Non è una novità che tu non regga l’alcool, mi spieghi perché hai esagerato?” le domandò ammorbidendo il tono.

“A causa tua” sospirò sempre a occhi bassi.

“Non mi sembra di averti obbligata a bere” replicò tranquillo, avvicinandosi il giusto per sollevarle il mento e guardarla negli occhi. Solo in quel istante si rese conto che il consueto caldo tramonto presente nelle sue iridi era svanito per lasciare il posto a un cielo carico di nubi.

“Non l’hai fatto” confessò spostando gli occhi sulle costruzioni alle di lui spalle, “ma ne ho sentito il bisogno.”

“Hai sentito il bisogno di stordirti?” la interrogò corrugando la fronte e non capendo il nesso.

Maya annuì sulle sue mani. Una parte di lei la invitava a restare in silenzio e a lasciare che pensasse quello che più gli era congeniale, l’altra, invece, si sentiva quasi obbligata a giustificarsi, affinché lui capisse che per lei era importante e che per nessuna ragione al mondo avrebbe mai potuto burlarsi di lui.

Il guerriero rimase per un lungo momento in silenzio a studiarne i lineamenti del volto. Aveva sempre saputo che fosse una giovane graziosa ma, in quel momento, comprese quanto in realtà si sbagliasse. Maya era un vero e proprio incanto, una bellezza unica e incomparabile. Con i lunghi capelli ramati e gli occhi scuri incarnava l’esatto opposto della bellezza norrena, eppure, non c’era uomo che non la trovasse assolutamente affascinante. La pelle d’avorio poi, era talmente chiara e priva di imperfezioni da risplendere al chiarore della Luna e le labbra carnose e naturalmente rosse completavano la di lei bellezza.

Quasi scottato dal solo sguardo lo spostò nuovamente agli occhi. “Ti porto a casa” parlò sciogliendo il contatto e ritrovando una lucida compostezza.

“Non serve, posso sola.”

“Ti porto a casa”, ripeté prendendole la mano, “non discutere.”

Il tempo per Erik di rientrare, prendere i mantelli e partirono.

“Sei prepotente” borbottò poco dopo Maya, incespicando nei suoi stessi passi.

“Preoccupato, semmai” replicò afferrandola per la vita e la sostenne durante tutto il tragitto.

Tenendola stretta al suo fianco, si rese subito conto di quanto fosse leggera e morbida, divagò per alcuni istanti immaginandola priva d’indumenti, ma ritornò al presente quando sentì la sua fronte appoggiarsi sulla spalla. Con il passare del tempo gli effetti dell’alcool erano diventati più potenti e lei era molto meno lucida e stabile, così finì con il chiedersi se l’indomani si sarebbe ricordata di tutta la loro discussione.

“Mi dispiace” mormorò la rossa perdendo completamente il controllo del proprio corpo.

Senza alcuna difficoltà Erik la prese tra le braccia e la portò a casa dove la sdraiò sul proprio giaciglio e la osservò ancora, incapace di credere a quanto fosse stato folle a cedere al bramosia. Con il petto gonfio di oppressione, ringraziò gli Dei che fosse ubriaca e, promise a se stesso, che non avrebbe mai più commesso quell’errore.

Maya era una ragazza innocente che non meritava di finire nelle sue mire licenziose, non le meritava e, quindi, non avrebbe permesso che accadesse.

OMG! Maya ha sbagliato proprio serata per ubriacarsi 😀
Pensate che Erik resisterà? Maya dimenticherà la sua dichiarazione?

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Cuore vichingo: capitolo 11

I festeggiamenti stavano procedendo nel migliore dei modi. L’idromiele e la birra continuavano a fluire nei corni alzati, infondendo coraggio e una buona dose di indecenza.

Non era strano che i banchetti sfociassero in baldoria pertanto, non vi era alcuno disturbato da tanto dissoluto baccano, ma qualcuno di infastidito c’era, anche se le motivazioni erano differenti.

“Voglio andare a casa”, piagnucolò Helka guardando l’amica seduta al suo fianco, “non mi sto divertendo.”

“Solo perché continui a oziare su questa panca”, reagì tranquilla, “vai in giro. Parla con qualcuno. Bevi” suggerì, mandando giù un po’ di idromiele.

Non amava particolarmente le bevande alcoliche e, invéro, non le reggeva neanche tanto bene ma, quella sera, aveva la necessità di stordire i sensi al fine di non pensare.

Non voleva assolutamente ricordare la spossatezza e il calore provato quando Erik le si era avvicinato poco prima, guardandola negli occhi e dichiarandole con quello sguardo un attacco dritto al cuore.

“Forse dovrei bere dal tuo corno”, ipotizzò togliendoglielo dalle mani, “si può sapere perché stai bevendo così tanto?”

“Devo dimenticare” confessò d’istinto.

“Cosa?” la incalzò l’amica tutta a un tratto interessata.

“Nulla” riuscì a ragionare.

“Ti ho vista uscire mano nella mano con Liut”, ammise la bionda prima di guardarla negli occhi, “vuoi dirmi qualcosa?”

“Non è come pensi. Siamo amici.”

“Non si direbbe.”

“Cosa vai farneticando, Helka, lo sai che siamo amici” ripeté corrugando la fronte.

“Allora, spiegami perché sei rientrata sconvolta?”

“Non sono sconvolta e lui non centra.”

“Da quando hai segreti con me?” la interrogò posando il corno.

“Non ho segreti” alitò passandosi una mano tra i capelli ramati.

“Provi qualcosa per Liut?” continuò Helka con interesse. “Se così fosse dovresti dirlo. Magari Alrik accetterebbe…”

Maya la interruppe con uno scoppiò di risa.

“Ora perché ridi?”

“Sorella, sei forse impazzita?” domandò scuotendo il capo a destra e sinistra per scrutarla meglio. “Dimentichi che Liut è un Jarl” concluse sorridendo, come se quell’ultima affermazione dovesse spiegare tutto.

“Ciò non toglie che Alrik lo voglia far sposare con me, che come ben sai non lo sono” le fece notare tranquilla, “quindi, se tu volessi.”

“Non voglio”, la interruppe seria, “sono affezionata a Liut, ma lui è solo un amico. Non provo niente di diverso per lui.”

“Così mi ferisci!” sentirono alle loro spalle.

Il tono era divertito e non ferito così Maya si sentì libera di sorridergli. “Lo so, ma in fondo anche tu non mi vuoi in quel modo.”

“Vero” confermò sedendosi in mezzo alle due ragazze, prima di voltarsi a guardare Helka negli occhi. “Dobbiamo parlare.”

“Di cosa?” gli domandò la bionda con soggezione, mordendosi l’interno della guancia per scacciare l’imbarazzo.

In passato aveva parlato spesso con Liut, ma quella fu la prima volta in cui lui pretese un confronto.

“Di noi.”

“Non c’è nessun noi” contestò seria e lui rise di ironia.

“Solo perché non ho voluto” chiarì sostenendo lo sguardo della bionda e pertanto non poté evitare di notare come quella consapevolezza avesse scurito il verde delle sue iridi. Gli dispiacque, ma non modificò il tono, perché sapeva bene cosa pensasse di lui ed era fermamente intenzionato a dimostrarle quanto si sbagliasse.

“Non hai voluto?” replicò confusa.

“Esatto”, confermò con decisione, “l’idea è stata di Alrik, non mia. Io non ti avrei mai scelta, come tu non avresti mai scelto me.”

Helka arrossì di vergogna, se quel rossore fosse dovuto al rifiuto o al fatto di essere stata scoperta non le era chiaro, ma ugualmente abbassò lo sguardo sulla terra battuta e rimase in silenzio.

“Io devo andare” s’intromise Maya alzandosi per evitare di ascoltare quel discorso e, senza attendere alcun cenno, scivolò via.

In realtà nessuno dei due osò muoversi.

“Sei stranamente silenziosa”, constatò Liut continuando a guardarla, “questa consapevolezza, unita allo scampato pericolo, dovrebbe renderti felice. Perché non lo sei?” andò dritto al punto.

“Tu, invece, sei stranamente loquace” ribatté, evitando di rispondere. Anche perché non aveva idea di cosa dire.

“Questo sono io, Helka.”

“Non il Liut che conosco”, contestò tornando a guardarlo negli occhi, “non ti ho mai sentito parlare in questo modo.”

“Forse non mi hai mai ascoltato.”

“Perché ti rivolgi a me così?” gli domandò, colpita dalla sua freddezza.

“Credevo ti piacesse” replicò con un’alzata di spalle.

“A nessuna donna piace essere trattata male” replicò incrociando le braccia al petto.

“Sei sicura?” la canzonò con un ghigno sfrontato. “A me risulta che corri dietro ai giovani più rozzi del villaggio e lasci che si approfittino della tua infatuazione.”

“Chi…” fece per rispondere, ma si zittì sconfitta. Era vero e non poteva ribattere in alcun modo.

I due rimasero in silenzio per un lungo momento, occhi negli occhi, studiando lo sguardo dell’altro e cercando di trarre una verità da esso.

“Perché mi hai detto quelle cose?” domandò Helka interrompendo il silenzio. Sentendosi mortificata, nonostante non gli avesse mai dato importanza.

“Perché dovevo farlo.”

“Che risposta è mai questa!” reagì, sollevando gli occhi al cielo.

“Vedi, Alrik non ha cambiato idea su di noi, ha solo deciso di posticipare l’annuncio, quindi, era mia intenzione farti sapere come la penso.”

“O meglio, cosa pensi di me” gli suggerì seccata. Infastidita dal fatto che non la volesse e che la ritenesse una sciocca dall’indole disinvolta.

“Anche, ma non solo. La verità è che desideravo dimostrarti che non sono il ragazzino senza polso che credi. Non ho bisogno di un invito per parlarti e se fino a oggi mi sono mostrato gentile, è stato solo per rispetto non per timidezza.”

“È un tuo pensiero, non mio” tentò di difendersi.

“Non sono uno stupido, Helka e questa è l’unica dote che mi viene riconosciuta, quindi, non trattarmi come tale. Credi che non ti abbia mai sentita parlare con le tue amiche di me? Oppure, che non abbia mai notato l’espressione di sufficienza con la quale mi accoglievi se c’erano i bifolchi al tuo fianco?”

“Io…” provò a giustificarsi, ma le parole fuggirono dalla sua mente, perché intrisa di troppi sensi di colpa.

“Non cercare altre scuse” riprese il giovane con voce secca. Nonostante non fosse il suo modo di porsi abituale, in quel frangente lo ritenne assolutamente necessario. “Quello che mi preme chiarire, è che non tollererò altri atteggiamenti irrispettosi, quindi, regolati di conseguenza” concluse sprezzante, prima di alzarsi e di andare via.

La lasciò da sola a riflettere, affinché facesse un po’ di chiarezza nel turbinio dei propri pensieri.

Poco distante, appoggiata con la schiena sulla parete di legno vi era Maya, con un corno alle labbra e gli occhi puntati sulla coppia di amici.

“Cosa fai? Non lo rincorri?” le domandò Erik posizionandosi al suo fianco.

La rossa spostò lo sguardo da Helka, ormai sola, a lui con una sorta di confusione, che si dipanò non appena lo fissò negli occhi.

“No. Credo che questa volta sia tua sorella ad avere bisogno di me.”

“Perché?” la interrogò guardando Helka e scorgendone la postura abbattuta aggiunse, “cosa le ha fatto?”

“Nulla. Le ha solo detto ciò che pensa.”

“Le ha detto che non vuole sposarla?”

“Sì”, confermò Maya bagnandosi le labbra con il liquido dolce, “ma credo gli abbia detto anche altro.”

“Per esempio?” la incalzò curioso.

“Chiedilo a lui e lasciami in pace!” reagì brusca, allontanandosi.

Lui era troppo vicino e la mente stordita dall’alcool non lo era abbastanza per ignorarlo. Sentiva il suo profumo invaderle i polmoni, percepiva il calore del suo respiro sfiorarle la pelle e mandare in confusione ogni buon pensiero.

La parte istintiva, quella che si ostinava a relegare, non desiderava altro che annullasse quell’esigua distanza con una stretta capace di bloccare il  respiro.

“Dove stai andando?” la fermò, afferrandole la mano per trattenerla.

“Non sono affari che ti riguardano, Erik” replicò fissando il punto d’incontro tra i loro corpi dal quale sentiva irradiarsi un potente calore e, istintivamente, si umettò le labbra mentre tornava a guardarlo negli occhi.

“Per gli Dei!” mormorò sostenendo lo sguardo e ritrovandosi nuovamente inghiottito dalla tonalità calda dei suoi occhi. Nonostante fosse in mezzo ad altre persone, percepì ancora quell’energia alla bocca dello stomaco difficile da gestire e per un solo momento si sentì completamente stordito.

“Lasciami andare” sussurrò la rossa con poca convinzione, sostenendo lo sguardo e mordendosi l’interno del labbro per scaricare la tensione.

“Non posso.”

“Sì che puoi” replicò Maya, senza nemmeno tentare di allontanarsi. Non ci riusciva. Sembrava che ogni parte del suo corpo volesse stare con lui.

“Allora, diciamo che non ci riesco” aggiunse accorciando le distanze.

“Cosa fai?” inquisì la giovane spalancando gli occhi, mentre l’eccitazione e l’aspettativa si impadronivano di lei.

“Vieni con me?”

“Dove?”

“Fuori.”

“Perché?”

“Ho bisogno di parlarti” ammise, sconvolto dai suoi stessi pensieri.

“Puoi farlo anche qui” replicò d’istinto, spaventata dall’idea di ritrovarsi sola con lui e di non riuscire a frenarsi.

“Maya, ti prego” si ritrovò a supplicare come non aveva mai fatto, ma sentiva il bisogno di stare solo con lei, ne aveva necessità quasi fosse diventata il suo ossigeno.

“No.”

“Maledizione! Puoi almeno per una volta stare zitta e venire con me?” chiese con frustrazione, sperando con tutto il cuore che non si rifiutasse ancora.

Che idea vi siete fatta su Liut? Helka? Maya? Erik?
C’è già un personaggio preferito?
Alla prossima!

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Cuore vichingo: capitolo 9

La sera era giunta.

I vari impegni, uniti alla miriade di congetture, avevano reso lo scorrere del tempo implacabile e il momento del banchetto era arrivato senza che se ne accorgessero.

“Dovresti lasciarli sciolti” suggerì Maya guardando l’amica.

“A cosa serve impegnarsi per essere graziosa, se tanto è tutto deciso.”

“Mi hai promesso che gli avresti dato una possibilità” le ricordò incrociando le braccia e puntandole addosso uno sguardo imbronciato.

“Hai ragione” mormorò Helka lisciando la tunica. “Te l’ho promesso e farò in modo di mantenere la parola.”

“Bene!” esultò la rossa avvolgendosi nel mantello.

Era sicura che se gli avesse dato un’occasione, avrebbe capito subito che Liut non era come tutti si ostinavano a rappresentarlo.

Proprio in quell’istante fece il suo ingresso il festeggiato.

Era stato lontano da casa tutto il giorno e, in tutta onestà, Maya non aveva la minima idea di cosa avesse fatto per tutto il tempo. Deglutì la curiosità crescente e attese che Matran o Helka gli ponessero il quesito, ma purtroppo per lei non avvenne.

“Sei in ritardo”, lo accolse la madre guardandolo di sbieco, “eravamo d’accordo che saremmo andati insieme.”

“E lo faremo, madre, eccomi” si indicò, guardandosi intorno. “Kal?”

“Ci ha preceduti” rispose la donna avvicinandosi alla porta seguita dalle due giovani.

Il gruppetto avanzò silenzioso lungo le stradine del villaggio e, una volta giunti nella grande stanza adibita alla cena, si divisero senza neanche salutarsi.

Il banchetto stava procedendo bene. Fiumi di idromele scorrevano nei boccali perennemente sollevati, mentre pesce e serpente arrostiti venivano serviti con verdure di stagione. L’ambiente era pregno degli odori tipici della cucina norrena e del caotico vociare di un’orda di guerrieri.

Helka aveva appena toccato cibo ed era stata per tutto il tempo con lo sguardo basso, incapace di guardare oltre. L’idea di incrociare lo sguardo del suo promesso le causava un’ansia indescrivibile che non sapeva come mitigare.

“Se proprio non vuoi mangiare almeno bevi” le suggerì Maya sottovoce, anche se fu una precauzione inutile. In tutto quel trambusto non l’avrebbero comunque udita.

“Non ho sete.”

“Ti aiuterebbe a rilassarti” spiegò, intuendo la sua angoscia.

“Si vede così tanto?” domandò sollevando gli occhi di scatto con apprensione.

“Sì”, confermò con un sorriso benevolo, “ma non devi. Andrà bene.”

“Parli così perché non sei tu a doverlo sposare” la contraddisse mordendosi il labbro.

“Parlo così perché lo conosco.”

Il rumore di una spada sullo scudo ammutolì l’intera stanza.

Le due giovani spostarono l’attenzione sulla fonte di quel rumore e, inevitabilmente, si irrigidirono nel notare il capo villaggio in piedi, pronto a parlare.

Gli occhi color tramonto di Maya fluirono rapidi su Liut, seduto al di lui fianco, con un’espressione seria come la morte. Non lo aveva mai visto tanto scuro in volto.

Quando Alrik si schiarì la voce, il giovane fratello sollevò gli occhi dal boccale per puntarli in quelli di Maya già pronti ad accoglierli. Si scambiarono uno sguardo eloquente che fu in grado di chiarire a entrambi i rispettivi dubbi e a far sorgere sui loro visi un sorriso complice.

“Amici!” parlò l’uomo con voce potente, nonostante in quel momento vi fosse un silenzio irreale. “Siamo qui riuniti per festeggiare la presa di Helgö, la sua ricostruzione e gli uomini che hanno reso tutto questo possibile. Ringrazio in modo particolare Erik Anderson, mio amico e uomo di fiducia, per aver saputo guidare i miei uomini e aver ottenuto grandi risultati con il minimo delle perdite.”

Gli occhi di Maya guizzarono per la prima volta, quella sera, sul guerriero seduto allo stesso tavolo del capo villaggio e fu sorpresa di incontrarne lo sguardo.

Mi sta guardando! Pensò, confusa.

“Per tale ragione” seguitò Alrik.

La mano di Maya in quel momento venne stritolata dall’amica, che mormorò: “Ecco, ora lo dice.”

“Che ho deciso di donargli un drakkar.”

“Cosa?” soffiò Helka, incredula e ricominciò a respirare normalmente.

“In che senso?” domandò Erik al capo villaggio, confuso quanto chiunque altro. Si aspettava tutt’altro tipo di annuncio.

“Nel senso che avrai una tua nave, amico”, rise della sua espressione, “così potrai scegliere tu il tuo prossimo viaggio.”

“Dici sul serio?” incalzò per conferma, anche se una strana gioia stava iniziando a farsi strada nel suo petto.

“Te la sei meritata”, confermo Alrik con serietà, “credo che per ora sia giusto ricompensarti per il lavoro svolto e non assillarti con ulteriori richieste.”

“Ha rinunciato all’idea del matrimonio” suppose Maya a bassa voce.

“Dici?”

“Sì, credo di sì. Almeno per il momento.”

Helka sospirò di sollievo e Maya poté notare che anche Liut ne era fortemente contento.

Quando tornò a guardare Erik, lo trovò sorridente come non lo aveva mai visto e un senso di assoluta contentezza le colmò il petto. Il perché le stesse succedendo non le era chiaro, preferì non pensarci distogliendo lo sguardo, ma non fu abbastanza rapida nel farlo e così, si ritrovò ad annegare nelle sue iridi brillanti.

Ci fu un momento, un brevissimo istante di appartenenza che inghiottì entrambi facendo svanire chiunque altro.

La giovane deglutì a vuoto. Si sentiva confusa dalla sensazione che le stava lasciando addosso quello sguardo, perché non l’aveva mai percepita e perché era maledettamente piacevole.

“Mi accompagni fuori?” pretese Helka, costringendola a interrompere il contatto visivo. Fu una separazione molto più fastidiosa del previsto, ma non poteva accusare l’amica di nulla, invéro, non c’era stato nulla da dividere o almeno così si costrinse a pensare.

La seguì mesta all’esterno, sforzandosi con tutta se stessa di non voltarsi a cercarlo. Ne provava un desiderio incomprensibile che le faceva formicolare persino la pelle e arrossare le gote.

Trattenne il respiro e abbassò lo sguardo sulla terra fino a quando non giunse all’aria aperta e, quando fu libera di muoversi, si volse a sbirciare dalla porta socchiusa.

Con enorme sorpresa, scorse il guerriero dagli occhi smeraldo fissare proprio quel punto e per paura di essere scoperta arretrò rapidamente.

Il cuore le schizzò in gola e per la prima volta non seppe spiegarsi le reazioni del proprio corpo. Era confusa e consapevole allo stesso tempo ma, principalmente, era incredula, perché non poteva credere che anche lui la stesse cercando.

*****

“Amico, mi stai ascoltando?” domandò Alrik dando una pacca sulla spalla del compagno.

“Scusa, capo, mi ero distratto” ammise Erik spostando lo sguardo dalla porta all’interlocutore, però, nonostante in quel momento lo stesse guardando, la sua mente continuava a riproporgli quello sguardo dai toni caldi e quel gradevole spasmo alla bocca dello stomaco. Non ricordava neanche quando fosse stata l’ultima volta in cui si era sentito in quel modo.

“Allora?” reiterò Alrik su un discorso non udito.

“In che senso?” tentò il guerriero, cercando di non indisporlo. In fin dei conti gli aveva fatto un gran regalo e non era carino l’atteggiamento che stava mostrando.

“Ti ho chiesto se sai già dove andrai?” ripeté ridendo. “Ti senti bene? Mi sembri strano.”

“Devo aver bevuto troppo” minimizzò ridendo a sua volta e incolpando l’alcool anche per quel folle languore.

Ci fu una risata goliardica che coinvolse l’intero gruppetto, prima che il capo non ingiungesse nuovamente con il proprio quesito.

“Non lo so ancora”, rispose finalmente, “non mi aspettavo un simile dono. Ci devo pensare.”

“Beh, hai tutto il tempo” chiarì Alrik.

“Per quell’altra questione?” domandò il moro lasciando intendere a cosa si riferisse.

“Siete tutti contrari, quindi, per ora soprassediamo.”

“Non la vuole?” domandò, risentito.

“Come lei non vuole lui” replicò serafico.

Erik avrebbe voluto dire che era ben diverso e che sua sorella sarebbe stata un’ottima moglie, ma proprio in quel momento i suoi occhi vennero catturati da una chioma rossa che si muoveva tra i tavoli, mano nella mano, con Liut.

Il cervello andò in fiamme, la mascella si irrigidì all’istante e si ritrovò a imprecare mentalmente contro se stesso perché, era consapevole, che neanche quella reazione fosse sensata.

 

Carissime guerriere e guerrieri, vi è piaciuto questo capitolo?
Cosa pensate succederà adesso?
A presto!

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